Questa pagina è dedicata alla nostra Provincia e alla nostra Brianza.

Busto Garolfo

Questa pagina è dedicata alla nostra Provincia, alla nostra Brianza. L’idea mi è stata suggerita dall’amico Remo Vignati, che è un milanese di Busto Garolfo (Bust Piccol per el nòst Carlin Porta, vedi il suo Brindes de Meneghin a l’ostaria pert l’entrada in Milan de Sova S.C. Maistaa I.R.A. Franzesch Primm in compagnia de sova miee l’Imperatriz Maria Luvisa dove, nel suo elogio dei vini brianzoli, al verso 250 dice: …quj mostos – nett e s’cett e salaa/de Suigh, de Biassonn, de Casaa,/de Bust Piccol… Già, perché invece Bust Grand è Busto Arsizio.

Remo è uno studioso della storia del suo paese. Racconta che …

“Busto Garolfo è sempre stato un paesotto tranquillo con le sue attività agricole ed artigiane, che nei tempi medioevali è stato un insediamento di conventi ed “hospitali” per viandanti, ricorda con nostalgia e rimpianto che a causa della “cecità storica” delle iatituzioni – e purtroppo anche per la noncuranza dei suoi abitanti – il paese rischia di cambiare totalmente la sua fisionomia: spariranno anche gli ultimi due “cortili” (le case in corte così diffuse in Brianza), sparirà l’edificio in cui è nato e vissuto sino agli inizi degli anni ’70 e che nel ‘700/’800 è stato un convento per l’accoglienza di ragazze madri e dove esistono delle lapidi che indicano che nei sotterranei sono stati sepolti personaggi dell’epoca. Dove c’era una delle più vecchie tessiture/manifatture della zona ora esiste solo una spianata su cui è prevista la costruzione di ca. 150 villette a schiera e qualche palazzo (a soli 100 metri dalla piazza principale). Questa tessitura era un capolavoro era un capolavoro delle costruzioni industriali del 1800 e poteva essere riconvertita in abitazioni mantenendo la struttura esterna originale ed invece si è deciso di radere tutto al suolo. Esiste ancora una vecchia corte tipica lombarda rurale detta "curti granda" sita in via Abbazia (il nome dice tutto in quanto qui sorgeva la vecchia Abbazia di S. Elisabetta dei frati Umialati) che è diroccata in quanto la proprietà non fa nulla per un suo mantenimento ma anche il comune fa orecchi di mercante visto che ha trasformato un'altra vecchia corte in uffici comunali facendo abbastanza scempio delle strutture originali. Vecchie case vengono abbattute per lasciare posto a nuovi e moderni palazzi quando invece sarebbe stato meglio obbligare a ristrutturare solo all'interno dei muri periferici visto che comunque le nuove costruzioni sono state fatte sui vecchi confini.”

Remo, alcuni anni fa, ha scritto una serie di episodi (chiamati "Dolci Ricordi") che descrivevano la vita degli inizi degli anni '50 e che aveva iniziato a pubblicare sul giornale della Parrocchia. In contemporanea aveva inizato anche a raccogliere i soprannomi in essere nel suo paese e con l'aiuto dei suoi genitori, sua suocera e di qualche altro volenteroso "vecchietto" raccoglieva notizie sul loro significato. Dopo un po' ha smesso di pubblicarli perchè venivano "censurati" o tagliati per ragioni di spazio e talvolta chi li leggeva non capiva cosa avesse scritto (in particolare venivano eliminati i termini in dialetto!!!!); inoltre dopo aver presentato la bozza della raccolta dei soprannomi e loro significati gli è stato comunicato che prima di pubblicarla avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione a ciascuno di loro. Ha chiesto al comune se potevano pubblicarla loro ma attende una risposta….

Come dire: già siamo in pochi a difendere la nostra cultura e le nostre radici…se poi ci tarpano le ali!

Ecco perché ospito volentieri Remo nel mio Sito, anzi, qui sotto pubblico le ricette “istoriate” che mi ha mandato e che gli sono state tramandate e insegnate (perché è anche un cuoco a 5 stelle) da sua madre che andava a cucinare per i matrimoni che allora si svolgevano nelle case e non nei ristoranti e dalla suocera (entrambe ultranovantenni! Evviva!)


L'ultimo giovedì di gennaio a Busto Arsizio ricorre la festa della "Gioebia", la vecchia che rappresenta l'inverno e che si usa bruciare quale benaugurio per la primavera che arriverà. Da noi a Busto Garolfo era usanza fino agli anni sessanta celebrare questa ricorrenza con una cena fra le amiche detta “scianin” (ora la celebra solo l’associazione dei pensionati ed anziani). Dice la storia che un anno un gruppo di amiche, sposate e no, si radunò per celebrarla nella cucina di una di esse. A quei tempi, i locali a piano terra avevano nel soffitto un’apertura, detta “arbosel”, che comunicava col locale soprastante, di norma il granaio. Un gruppo di uomini, saputo della cena, si appostò nel granaio e quando tutti i cibi (risotto giallo e “brusiti”) furono pronti e serviti a tavola, uno del gruppo, con voce cavernosa, intonò: “don, don andè a dormi ca le ura da morì, se cradi no che Dio ve lo manda, guardé al voltu ca ga ven giò una gamba” (donne, donne andate a dormire che è ora di morire, se non credete che è Dio che lo comanda, guardate in alto che viene giù una gamba). Le donne guardarono il alto e videro scendere dall’apertura una gamba rossa. Impaurite fuggirono a gambe levate lasciando tutto quel ben di Dio sulla tavola apparecchiata; dopodiché gli uomini scesero in cucina e mangiarono e bevvero di gusto alla salute delle donne credulone.

“ BRUSCITI “

ingredienti per 4 persone:
gr. 600 di polpa di manzo o meglio di “cappello da prete”
gr. 30 di burro
1 cipolla piccola
3 spicchi d’aglio
1 patata grossa
½ bicchiere di vino rosso robusto fermo
sale e pepe

Tagliuzzate la carne in pezzetti della grandezza di un fagiolo (se proprio avete dei problemi fatela passare una sola volta nel tritacarne). In una casseruola mettete, a freddo, la carne, il burro, la cipolla affettata sottile, gli spicchi d’aglio sminuzzati (se proprio non potete soffrire l’aglio mettete gli spicchi non sbucciati che vanno rimossi dopo circa 30 minuti di cottura). Incoperchiate e cuocete a fuoco bassissimo per una quindicina di minuti, rimestando di tanto in tanto. Aggiungete la patata tagliata a tocchetti ed aggiustare di sale. Qualora i “brusciti” risultassero troppo asciutti aggiungere qualche cucchiaio di brodo di carne. Dopo una ulteriore ora di cottura schiacciare quanto rimane della patata in modo da legarla alla carne. Aggiungere il vino ed alzare la fiamma fino al bollore tenendo la casseruola scoperta. Lasciare bollire per alcuni minuti per una parziale evaporazione del vino. Rimettere il coperchio e cuocere, ancora a fuoco bassissimo, per circa 40 minuti. Scoperchiare e controllare la consistenza dei “brusciti” che devono risultare ne troppo asciutti ne troppo brodosi. Servire con una fumante polenta di farina gialla bergamasca a cottura normale o con fettoni di “pan misto” vecchi di un giorno.


Nelle serate invernali o quando si aveva parecchio pane raffermo (anche se questo accadeva raramente) la "regiura" preparava un piatto molto nutriente, di facile e veloce preparazione e di costo molto ridotto visto gli ingredienti usati che di norma erano di propria produzione.

"PAN COTU"

ingredienti (per 4 persone)
4 michette (qualcuno le chiama rosette) rafferme o un pezzo di pane misto sempre raffermo
gr. 50 di burro
4 uova intere
formaggio grana grattugiato (la ricetta originale richiedeva croste di grana - costavano meno - tagliuzzate grossolanamente con la mezzaluna)
1 dado da brodo (la ricetta originale richiedeva un cucchiaino di estratto "Liebig") sale

Spezzettare il pane e porlo con abbondante acqua in una pentola, preferibilmente di coccio; aggiungere il burro ed il dado e portare a bollore. Aggiustare di sale, abbassare il fuoco e continuare la cottura per circa 20 minuti a pentola coperta. Mettere in ogni scodella un uovo intero, versare il pancotto e completare con una abbondante manciate di grana grattugiato. Accompagnare con un bicchiere di bardolino o valpolicella giovane.


Il circolo Sant'Antonio (Circulun) ed il circolo San Giuseppe (Circulin) erano il punto di ritrovo per gli uomini di famiglia di Bus Piqual (Busto Garolfo) fino alla metà degli anni '60. I frequentatori di questi due locali erano, di norma, anche soci degli stessi che erano società cooperative a responsabilità limitata.
Ciascun socio poteva possedere una sola azione (valore nominale, negli anni '50, Lire 500) che passava in eredità al primo figlio maschio.
Fra i due circoli, e di conseguenza fra i soci, esisteva una certa rivalità che si manifestava nelle iniziative atte a garantire ai soci condizioni particolari migliori.
In occasione delle festività natalizie, pasquali e patronali veniva distribuito, ai soci, vino rosso e bianco a prezzo ridotto in aggiunta ad un piccolo quantitativo gratuito.
In occasione della ricorrenza del rispettivo Patrono veniva distribuito, in aggiunta a quanto detto in precedenza, un filone di pane francese ed un "buralun" (salamino di puro suino di fresco insaccamento e del peso di circa 250 grammi) oltre ad un ulteriore mezzo litro di vino rosso ed una gassosa.
Visto i tempi di ristrettezza economica "ul regiu" beveva il vino e gassosa sul posto accompagnandoli col filone di pane, mentre portava a casa "ul buralun" che la "regiura" cucinava come dalla ricetta che segue (chiaramente a quei tempi "un buralun" poteva, anzi doveva soddisfare l'appetito di una famiglia media di 8 persone).

PATATI E VERZI

ingredienti (per 4 persone)
una verza di media grandezza
sei grosse patate gialle
4 salamini freschi di puro suino (quelli fatti all'antica senza aggiunta di semi di finocchio, aglio, etc)
gr. 50 di lardo o, per chi ama la cucina leggera, due cucchiai di olio d'oliva
gr. 150 di pancetta tesa stagionata (non quella attuale senza sapore che sembra di plastica)
sale e pepe

Pelare le patate e pulirle con uno strofinaccio umido (non lavarle sotto acqua corrente perché perderebbero gli amidi).
Lavare velocemente le foglie della verza ed affettarle grossolanamente.
Tagliare a fette sottili il lardo e la pancetta.
Mettere le patate, la verza, il lardo e la pancetta in una casseruola, preferibilmente di coccio, coperchiare e cuocere a fuoco lentissimo per 45 minuti rimestando frequentemente in modo da evitare che attacchino sul fondo (se necessario aggiungere qualche cucchiaio di acqua calda).
Nel frattempo cuocere i salamini in acqua bollente per 10 minuti circa( se si vuole un piatto meno grasso punzecchiare i salamini con i rebbi della forchetta dopo qualche minuto dall'inizio dell'ebollizione).
Scoperchiate la casseruola ed aggiustate di sale; aggiungere i salamini dopo averli ben scolati.
Completare la cottura per ulteriori 10 minuti.
Alla fine le patate e le verze devono risultare fra di loro ben amalgamate (praticamente come un purè).
Servire in piatti tenuti al caldo in forno (a quei tempi messi vicino al fuoco del camino) con una abbondante macinata di pepe nero ed accompagnati da fette di pane misto rafferme di un giorno.
Un bicchiere di barbacarlo è l'accompagnamento giusto.


Mariano Comense

Missultìtt e rüsümada
(Luigi Colciago)

 Quant ancamò
i nost danè eren faa d'un'altra pasta
ho sentii de vùn a dì, quant seri in trenu:
"Venerdì de sira semm naa a mangià,
missultìtt e rüsümada, emm spendüü"...

... minga semm truvaa ben, emm mangià san,
emm faa una baracada inscì tra amis.
Eh no! el diseva: emm spendüü centmila.

Quischì d'incoeu,
ghe par a lur de vegh ul mund in man,
per na in muntagna e voeuren dree la machina.
. I missultìtt! Fan rutulà la lengua
senza nanca savè poeu s'el voeur dì.

Nüm sì. Scaj dür de pess tegnüü de part
per i dì de frecc, pulenta e strachìn
rüsümada (dumà veghen) e fich.

Nüm sì! nüm sì,
ghe vureva ben pocch per spassas via!
Ciàpa la narcisada del primm magg.
A pee per i sentee del Büs del Piump
nè pù, nè men insema a la murusa.

Quataa in la tera i frasch de la castegna
gremaven in del fa la carbunela
buna a coeus ul pan e a brüsà l'incens

 

Commento:

…considerazioni, magari nostalgie, di persone anziane o di altre generazioni.

Ma il mio fornaio sì, cuoceva ancora il pane con il carbone di legna e l'incenso che si scioglieva in profumo durante le processioni dell'ottava del Corpus Domini bruciava su fuoco di carbonella.

 

 


 

 

Osterii d'una voeulta
(Luigi Colciago)

Sedes de agost, Sant Roch.
L'è minga propi ul cas de negà in butega.
Ul südur el pataca giò adree la r'cena,
la gera la se sfarina suta al sû,
... e se cerca refrigeri a l'osteria.

... Vin e umbria, pan e salam: i bocc o i cart.
Par quasi minga de vess de quel mund chì
inscì pien de rogn, de ropp brùtt, de miseria
e de malinconia.

Osterii d'una voeulta!
Cumè quela adree al provincial pien de pulvera
cunt i tavul suta a la toppia de l'üga,
o quela di lenitt in piazza del paes
... cunt tacaa suta al suffitt ul ciappamosch.

...l'üga, di cun di, la toeu i culur del vin!
La gunfia i pinciroeu, la spüa foeu ul sò spirit.
Una scaja de lüs par quasi tajà l'umbria
in cerca d'alegria.

O quela di Paulott.
Giùst un cantunin per un mument de requie,
dopo ses dì (e poeu mezz!) cunt ul coo in sùl banc
. .. senza però tropp lassas ciapà di voeuj
quant l'era pecaa dumà scoeut un petìtt.

... un cicinin de mund che ul sû apena el sfrisa,
che se fa morbid, se fa nient in del nient:
'dasi, 'dasi sbiadìss in del ciar e scur
e insema al temp, ul strüzzi.

 

 

Commento:

Osterie di una volta!

...nascoste in una cascina annegata nel verde lungo il provinciale polveroso, a dare riposo e ristoro ai carrettieri.

...osterie di paese, con nomi, meglio soprannomi, fantasiosi come Circul di Lenitt (plurale di Lenin), Circul di Paulott

...santuari di riti primordiali: templi dove un mago, ancora, celebrava le nozze segrete tra l'acqua ed il vino.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Dal “cantore più vero della Brianza il laghée” Alberto Airoldi   (Milano 1893-Erba1977) – artista, poeta, letterato - detto il Federico Fellini di Erba, fondatore,  nel 1928, del famoso Teatro Licinium di Erba (all’aperto nel parco)

 

 

 

Ecco due suoi sonetti (il primo “caudato”) dedicati a l’acqua brianzoeula 

 

I quatar lagh da la Brianza

 

La settima giornada ol Creator

al riposava o al fava pù nagott,

al stava lì sugandas ol sudor

ch’al sgrondanava giò a gott a gott.

 

           Ol panet l’eva grand, ma minga assée

           e quatar da sti gott a gh’hin scapaa

           s’ciach, ga borlan in tera…al solta in pèe

           al guarda giò…e lagh in diventaa

 

“Il mio sudor dev vess in terra eletta”.

Al leva su in d’on boff dal cadregon

e al ga tra in gir da paradis ‘na fetta.

 

           I angioritt vegnan giò a fagh cordon,

           cordon da fior e in mezz tanti casett

           Pusian, Alseri, Oggionn, e poeu Longon.

 

E Erba in sciumm, poggiada a un parapett,

par fa i so veci in terra e tegnèi nett.

 

1939

                          

 

 

I quattro laghi della Brianza

 

Il settimo giorno il Creatore

si riposava o non faceva più nulla,

stava lì ad asciugarsi il sudore

che grondava giù goccia a goccia.

 

           Il fazzoletto era grande, ma non sufficiente

           e quattro di queste gocce sono scappate

           ciacc, gli cadono a terra… salta in piedi

           guarda giù… sono diventate lago

 

“Il mio sudore deve essere in terra eletta”.

Si alza di botto dal trono

e sparge intorno una fetta di paradiso.

 

           Gli angioletti scendono a fargli cordone,

           cordone di fiori e in mezzo tante casette

           Pusiano, Alserio, Oggione e poi Longone.

 

E Erba in cima, appoggiata ad un parapetto,

per fare le sue veci in terra e conservarli bene.

 

  

Ol lagh da Pusian

 

L’è sémpar lè quell sàras, dree la sponda,

taccaa a la ringherétta, a speggiass dent

in la premm’acqua, a cavezzass cont l’onda

e a giugattà col verd, l’or e l’argent.

 

        L’è sempar lé la toppia che circonda,

        compagn d’ona cornis, ol lagh lusent

        e i doss giò là, là in do’ che sa sprefonda

        quell’acqua indormentada e senza vent…

 

Mollaa ‘l parètt, al va dolz ol barcon

cont i pégor insemm al so pastor

tucc masaraa da lûs in sul fìron…

 

        L’or dal tremont pian pian al perd color

        e vèdi col barcon a pèrdas via

        ol sogn dal Segantén…«Ave Maria»!

 

 

 

 

1962

                           

 

 

Il lago di Pusiano

 

 E’ sempre lì quel salice, sulla sponda,

attaccato alla ringhieretta, a specchiarsi dentro

la prima acqua, ad assestarsi con l’onda

e a giocherellare col verde, l’oro e l’argento.

        

          E’ sempre l’ la pergola che circonda,

          come una cornice, il lago lucente

          e i poggi laggiù dove si sprofonda

          quell’acqua addormentata e senza vento…

 

Mollati i paletti, va dolcemente il barcone

con le pecore assieme al loro pastore

tutte bagnate di luce sulla groppa…

 

          L’oro del tramonto pian piano perde colore

          e vedo col barcone scomparire

          il sogno del Segantini……«Ave Maria»!